ORIGINI DELLA PSICOLOGIA

LE ORIGINI

La parola psicologia è composta di 2 termini: PSYCHÈ anima e LOGOS discorso. Diverse culture antiche svilupparono una vasta mole di sapere psicologico basato sulla “osservazione della condotta umana”, sulla “riflessione” ed “introspezione”. Nella cultura greca antica, prende forma l’idea di “anima” come nucleo interno e immateriale (PITAGORA), poi l’accento si sposterà sull’elemento psichico che implica anche il mondo pulsionale ed emotivo (PLATONE).

Con ARISTOTELE si passa a concepire l’uomo come un essere integrato (il corpo non può essere separato dall’anima). L’attività intellettiva è un’elaborazione del materiale dato nella “sensazione” (e non come in Platone, un contatto con un mondo ideale totalmente separato dal corpo): “nulla si trova nell’intelletto che non sia prima nel senso”.

LA MEDICINA IPPOCRATICA

La pratica medica nella Grecia era già particolarmente interessata ai fenomeni psichici: era prevista l’interpretazione dei sogni a scopo diagnostico, ed era riconosciuta l’esistenza dei disturbi psichici curati con una sorta di terapia musicale.
Con IPPOCRATE DI COS (460-377 a.C.) si sviluppò una teoria fisiologica sui 4 “umori” o liquidi corporei (SANGUE, FLEGMA, BILE NERA, BILE GIALLA) con rilievo psicologico poiché a essi si fa corrispondere 4 “temperamenti”: SANGUIGNO, FLEMMATICO, MELANCONICO e COLLERICO.(così teorizzati da GALENO. Ci troviamo di fronte ad un primo tentativo di tipologia psicologica degli individui. IPPOCRATE considera la malattia come il risultato di un’alterazione degli equilibri fra uomo, ambiente, psiche, clima, spiritualità, esprimendo un sapere psicologico orientato al benessere dell’individuo, secondo una visione estremamente attuale.

DAL MEDIOEVO A CARTESIO

Nel Medioevo, filosofia, scienza e teologia erano intimamente fuse e inscindibili. È con il Rinascimento e la rivoluzione scientifica del ‘600 che la psicologia viene a occupare un posto di primo piano nella riflessione filosofica.
Nella visione dualistica di CARTESIO (1596-1650), la realtà si divide in: “REX ESTENSA” (sfera della materialità, ove regnano le leggi meccaniche) e “REX COGITANS” (mondo immateriale del pensiero). Tramite i sensi l’uomo riceve degli stimoli che poi vanno tradotti in un linguaggio intelligibile: egli è il primo a porre il problema percettivo in termini di “rappresentazione” (la mente contiene idee che stanno per qualcos’altro). Tema fondamentale della sua filosofia è l’evidenza degli “atti psichici” in sé: “di tutto posso dubitare ma non del fatto che sto dubitando”. L’atto di pensare implica l’esistenza di un “io pensante “cogito ergo sum”.
Egli parla pure delle “passioni”, come rivelatori di stati d’animo indicatori immediati di ciò che può giovare o nuocere all’organismo, ma vanno sottoposte al vaglio della ragione.

KANT E IL PROBLEMA DELLA PSICOLOGIA SCIENTIFICA
Nel tentativo di sistemare il sapere filosofico, WOLF continuò a intendere la psicologia come parte della metafisica che si occupa dell’anima umana, ossia di un sapere che procede principalmente mediante ragionamento deduttivo. E ciò ha poco in comune con la psicologia odierna, basata in larga misura sull’osservazione e sull’esperimento.

L’orientamento più importante per la psicologia è l’”empirismo”: per LOCKE (1632-1704), BERKELEY (1685-1753) e HUME (1711-1776) l’intera conoscenza deriva dall’esperienza sensoriale. Nascono, così, le nozioni di “coscienza” (come spazio ove si presentano gli eventi mentali), “senso interno” (come facoltà di percezione di questo spazio psichico e parallela al “senso esterno” che si applica al mondo fisico) e “associazione di idee” (dinamica che regola i legami tra le rappresentazioni. Le sole relazioni tra le idee ammesse sono: la contiguità, la somiglianza e la successione causale).

KANT (1724-1804) sancisce la fine della controversia tra razionalismo ed empirismo sulla possibilità della conoscenza oggettiva, tramite il suo “idealismo trascendentale”: il mondo ci appare in un dato modo in ragione della struttura del nostro intelletto (le “categorie mentali”); i fenomeni e le cose in sé, sono indipendenti dal nostro modo di conoscerle. L’Io stesso non è rintracciabile nell’esperienza interna come oggetto: per il soggetto non è possibile conoscere il soggetto stesso. Si pensa così alla psicologia solo come antropologia descrittiva, la si pone come scienza della cultura e non come scienza naturale.

N.B. In risposta a tale veto vi sono due reazioni: la “positivista” (cerca di dimostrare che è possibile una scienza della psiche, tramite i metodi sperimentali delle scienze naturali, specie la fisiologia); la “fenomenologica” dimostrando che il “senso interno” non è incapace di cogliere l’Io, ma la sola fonte di evidenza di cui disponiamo per cogliere gli atti psichici.

LA PSICOFISICA E LA FISIOLOGIA

Col Positivismo, si fa strada la necessità di introdurre procedimenti di misurazione e di quantificazione dei dati affinché la psicologia possa ottenere lo status di scienza. WEBER (1795-1878) e FECHNER (1801-1887) concepirono leggi ponte, sottoforma di equazione, per dimostrare che lo psichico è funzione del fisico, dipendente da esso e viceversa, per cui dalla presenza e dai cambiamenti dell’uno si possono inferire quelli dell’altro. Per la prima volta un intero ambito di dati psichici usciva dal campo di una determinazione puramente soggettiva e aleatoria per divenire una grandezza osservabile e misurabile, almeno indirettamente.

Si comincia a studiare la trasmissione degli stimoli dalla realtà esterna alla realtà interna tramite le “fibre nervose”. Il fisiologo MULLER (1801-1858) formulò la teoria delle “energie specifiche dei nervi”: ogni tipo di nervo non è un semplice conduttore neutrale che veicola lo stimolo senza elaborarlo, ma le sue proprietà influiscono in modo determinante sulla qualità delle esperienze sensoriali.
VON HELMHOLTZ (1821-1894) ipotizzò la presenza dell’apparato visivo di “recettori retinici” di 3 tipi, ognuno sensibile a colore diverso (rosso, verde, blu  i colori fondamentali). Egli fece esperimenti sui “tempi di reazione”: sulle risposte motorie determinate dal contatto tra nervi afferenti e efferenti a livello del midollo spinale, quindi senza passaggio dal cervello e senza l’intervento della volontà, pur chiarendo, però, che la pura stimolazione sensoriale non basta a generare la percezione, ci devono essere processi di mediazione a livello più elevato: si ipotizza un ruolo attivo della mente nell’organizzare il materiale sensoriale.

L’ASSOCIAZIONISMO

Nel suo “laboratorio di psicologia sperimentale”, fondato a Lipsia nel 1879, WUNDT (1832-1920), concentrandosi principalmente sulla sensazione e la percezione, basò le sue indagini sul “metodo introspettivo”, convinto che un soggetto può, tramite concentrazione attentiva, descrivere in modo oggettivo i contenuti della coscienza, ciò che ad essa si manifesta, attimo per attimo, nel corso dell’esperienza. Egli eredita dagli empiristi inglesi “l’associazionismo”, ove è centrale il concetto di “esperienza”, che va analizzata e ridotta ai contenuti elementari, per poi scoprire le leggi in base a cui tali contenuti si combinano tra loro per dar luogo alle formazioni psichiche: la mente è costituita da contenuti elementari che, aggregandosi, danno vita alle strutture più complesse. Gli elementi semplici sono di tre tipi: sensazioni, immagini, sentimenti.

Nello stesso periodo, EBBINGHAUS pensò di poter estendere l’uso del metodo sperimentale allo studio delle funzioni mentali superiori, e in particolare alla “memoria”. Partendo dal principio per cui la frequenza delle associazioni è il requisito fondamentale per il ricordo, in base al numero di ripetizione del materiale da apprendere, stabilì la “curva dell’apprendimento” e i principali fenomeni di “interferenza” che caratterizzano il ricordo.

LA SCUOLA FENOMENOLOGICA

Al contrario di WUNDT, BRENTANO (1838-1917), basandosi su alcune idee di fondo della filosofia medievale, abbandona la prospettiva di una coscienza intesa come “collezione o flusso di contenuti” per coglierla come luogo di “atti psichici”, diretti verso gli oggetti, cioè contrassegnati dal carattere di “intenzionalità” (“in-tendere”: tendere verso). Egli sottolinea, così, il carattere rappresentativo dei fenomeni psichici è la loro capacità di “stare per” qualcosa. Tale oggettività intenzionale, che è il correlato dell’atto mentale, va distinta dall’esistenza reale degli oggetti esterni alla mente. Gli oggetti a cui la mente si rivolge sono interni ad essa stessa. La sua “psicologia descrittiva”, quindi, esclude del tutto il metodo sperimentale e mira a classificare la struttura qualitativa degli atti psichici e le modalità con cui esso si rivolge al proprio oggetto: egli propone una classificazione tripartita degli atti mentali, divisi in tre classi fondamentali: le ideazioni, che sono le mere rappresentazioni degli oggetti, i giudizi e i sentimenti.

IL FUNZIONALISMO

Già nell’800 cominciarono a emergere orientamenti alternativi a quello associazionistico. Per il “funzionalismo”, la psicologia, memore dell’insegnamento di DARWIN (1809-1882) sull’evoluzionismo, studia i “processi di adattamento” della mente rispetto all’ambiente: le caratteristiche mentali sarebbero il risultato di un processo di evoluzione biologica e di adattamento all’ambiente, per cui, insieme all’apprendimento e all’esperienza, si riconosce il ruolo preponderante di una dotazione psicologica biologicamente innata.

Per JAMES (1842-1910) la coscienza, in quanto meccanismo autosufficiente in termini funzionali, non era più un oggetto da scomporre nei suoi componenti elementari, ma doveva esser studiata nei suoi meccanismi operativi che consentono l’adattamento degli individui rispetto all’ambiente. Egli, parla del flusso di coscienza, come un complesso di costrutti che costituiscono l’esperienza dinamica di Sé e che derivano in parte dalla sfera ambientale, in parte dalla propriocezione e in parte dalla memoria. Anche DEWEY (1859-1952) accentua l’attenzione sul carattere attivo e dinamico della condotta umana, sull’osservazione empirica del comportamento in azione più che sull’introspezione analitica. Il ruolo dell’interazione sociale è fondamentale nella costruzione dei processi cognitivi e nella strutturazione del sé.

N.B. Al funzionalismo aderì WATSON, poi fondatore del comportamentismo. I suoi principi di base saranno accolti più tardi anche dalla scuola a cui facevano capo CLAPARÈDE e PIAGET.

LA PSICOLOGIA COME SCIENZA APPLICATA

Il “funzionalismo” con la sua tendenza pragmatica e socialmente orientata, contribuì molto ad aprire nuovi orizzonti applicativi, specie verso la conoscenze degli individui e delle loro differenze. Si introduce, così, l’idea di assumere come oggetto delle misurazioni non più indici somatici ma prestazioni individuali: da qui lo sviluppo della “psicometria”, dei “test”, con cui la psicologia assunse in modo crescente l’orientamento alla previsione.

 

 

 

 

 

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